Corte di Cassazione Civ., Ordinanza n. 7436/2024, ha dichiarato inammissibile un ricorso perché prolisso e perché non conteneva l’esposizione sommaria delle reciproche pretese delle parti.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7436 del 20 marzo 2024, ha dichiarato inammissibile un ricorso perché prolisso e perché non conteneva l’esposizione sommaria delle reciproche pretese delle parti.
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La Suprema Corte ha  chiarito che, ai sensi dell’art. 366 primo comma n. 3 del c.p.c., chi si rivolge ad essa deve indicare, in modo sommario, le reciproche pretese con i presupposti di fatto e di diritto che le sorreggono, insieme ad eccezioni, difese e deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria. È inoltre tenuto a riferire le argomentazioni sulla quale è fondata la sentenza di primo grado, le difese svolte dalle parti in appello ed il tenore della decisione per cui si ricorre in Cassazione.
Insomma  la necessità dell’esposizione sommaria è un requisito di contenuto-forma del ricorso e non costituisce un mero formalismo.
In pratica serve a garantire alla Corte una chiara e completa cognizione sia del fatto sostanziale, che dà origine alla controversia,  sia di quello processuale.
In ogni caso non deve costringere i giudici di legittimità a leggere la sentenza di appello per ricostruire la vicenda.
Nel caso in specie il ricorso per Cassazione, pur estendendosi per ben 56 pagine,  non ha consentito ai giudici di comprendere la vicenda sottesa alla lite.
Gli stessi pertanto lo hanno qualificato prolisso, privo dell’esposizione sommaria,  e quindi inammissibile.
 Avv. Salvatore Torchia

Cassaz. Civ.,  Ordinanza n. 5317 del 2024: “il recupero d’imposta, suoi maggiori redditi accertati attraverso indagini sui conti correnti, è legittimo nei confronti di tutti i contribuenti solo se attenziona versamenti che l’ufficio ritenga ingiustificati, mentre ne restano esclusi i prelevamenti.” 

La Cassazione,  con l’Ordinanza n. 5317 del 28 febbraio 2024, ha ribadito che il recupero d’imposta, suoi maggiori redditi accertati attraverso indagini sui conti correnti, è legittimo nei confronti di tutti i contribuenti solo se attenziona versamenti che l’ufficio ritenga ingiustificati, mentre ne restano esclusi i prelevamenti.
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Con questa decisione la Suprema Corte ha voluto dare continuità al suo orientamento nel senso che la disponibilità di un maggior reddito, desumibile dalle risultanze dei conti bancari,  non è riferibile solo ai titolari di redditi di impresa o di lavoro autonomo  ma si estende a tutti i contribuenti.
Tuttavia, ha chiarito che, alla luce della sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 2014, le operazioni bancarie di prelevamento hanno valore presuntivo solo nei confronti di titolari di reddito di impresa, mentre quelle di versamento nei confronti di tutti i contribuenti.  Costoro possono contrastare l’efficacia dimostrando che le stesse sono già incluse nel reddito soggetto ad imposta o sono irrilevanti.
Avv. Salvatore Torchia

Cassazione Civ., Ordinanza n.3097 del 2024: “se l’Ente è inadempiente, il giudizio di ottemperanza costituisce l’unico rimedio per l’attuazione delle sentenze tributarie.”

La Cassazione, con ordinanza n.3097 del 22 febbraio 2024, ha stabilito che, se l’Ente è inadempiente, il giudizio di ottemperanza costituisce l’unico rimedio per l’attuazione delle sentenze tributarie.
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Siamo in presenza di una decisione molto interessante perché la Suprema Corte ha eliminato,per il contribuente, la possibilità di ricorrere al processo di esecuzione forzata,  regolato dal codice di procedura civile, che in passato costituiva una valida alternativa.
Da oggi in poi, pertanto,  il giudizio di ottemperanza costituisce l’unico rimedio per ottenere il dovuto e il contribuente non può piu’rivolgersi al giudice civile per avviare l’azione di esecuzione forzata.
Peraltro i giudici di legittimità hanno rilevato che il giudizio di ottemperanza presenta caratteristiche diverse rispetto al giudizio esecutivo civile dal quale si differenzia perché il suo scopo non  è quello di ottenere l’esecuzione coattiva del comando contenuto nella decisione passata in giudicato, quanto quella di dare attuazione a quel comando, anche se questo non contenga un precetto dotato dei caratteri propri del titolo esecutivo.
Ed infatti il ricorso per l’ ottemperanza può essere proposto anche se la sentenza non è divenuta definitiva.
Avv. Salvatore Torchia

Cassazione civile, Ordinanza n. 36004 del 2023: “nel ricorso in Cassazione, non è ammissibile la deduzione sulla erronea valutazione delle prove raccolte, pur se presuntive.”

La Suprema Corte, con Ordinanza n. 36004 del 27 dicembre 2023, ha stabilito che, nel ricorso in Cassazione, non è ammissibile la deduzione sulla erronea valutazione delle prove raccolte, pur se presuntive.
Infatti, si tratta di un apprezzamento discrezionale del giudice di merito.
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In pratica la Cassazione ha affermato che la valutazione delle prove raccolte,  anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni, in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale, non sono sindacabili nel giudizio di legittimità.
              Avv. Salvatore Torchia

Francia, l’aborto in Costituzione: un’antinomia tra le libertè

Luigi RapisardaCi sono epoche in cui la storia si nutre di eventi memorabili, alludo ovviamente all’emanazione della prima Carta dei diritti fondamentali, costruita attorno alle tre grandi categorie universali: Liberte’, egalite’, fraternite’.

Altre in cui quegli esiti gloriosi finiscono per subirne, come effetto non congruamente valutato in tutta la sua ampiezza, un clamoroso arretramento.

Così mi pare essere la recente decisione del 4 marzo scorso del Congresso nazionale francese – l’equivalente delle nostre Camere riunite in seduta comune – di mettere in Costituzione il diritto all’aborto.

Un passo falso nel naturale processo di evoluzione dei diritti per la palese antinomia che il diritto all’aborto genera, all’interno del sistema di tutela dei diritti fondamentali, con il più universale dei diritti:ossia il diritto all’esistenza e alla vita.

L’effetto più visibile è la creazione di un paradosso costituzionale per l’ impossibile contemporaneo esercizio dei due fondamentali diritti: da una parte il diritto all’esistenza ed alla vita, riconosciuto come diritto naturale e supremo e dall’altro il diritto all’aborto, nella nuova versione francese, ossia costituzionalizzato come diritto fondamentale.

Ma vi è di più.

Con l’introduzione dell’aborto nella sfera di tutela dei diritti fondamentali, si legalizza una irragionevole supremazia senza freni (i diritti fondamentali sono per definizione senza condizioni) rispetto al supremo diritto all’esistenza ed alla vita a tutela del nascituro.

Per i governanti francesi, Macron in primis, questa decisione eleva la tutela di questo diritto al livello più alto della giustizia.

Di certo non fa gioire quanti, e non sono pochi, trattandosi di un confine che va oltre l’area del mondo cattolico, hanno a cuore la tutela del nascituro e il suo diritto all’esistenza, tanto quanto può compararsi ad esso il diritto alla vita di ciascuna persona.

Come era immaginabile, la scelta del Parlamento francese non poteva non imbattersi nella legittima critica da parte dell’Episcopato d’Oltralpe che in un articolato documento si è così espresso: “Proprio nell’epoca dei diritti umani universali, non può esserci un ‘diritto’ a sopprimere una vita umana”.

Anche il presidente della Pontificia Accademia per la vita, Mons. Paglia, ha così commentato la decisione del Parlamento francese: “..credo che non sia questo il metodo o queste le parole con le quali possiamo tutelare e difendere le donne e i loro bambini..

Parole in cui si colgono tutte le asperità di una scelta che va oltre il diritto naturale ad esistere.

Un salto etico e giuridico troppo sbilanciato che finisce per trasformare una decisione(quella della donna) sofferta, esercitabile a determinate condizioni, secondo le leggi ordinarie dei diversi paesi del mondo occidentale – ma i cui effetti investono direttamente un altro essere ed il suo diritto ad esistere – in un potere senza freni etici e giuridici, soverchiati dalla valenza costituzionale che lo liberalizza.

Tanto da essere innegabile il fatto che questa scelta di campo fa assumere al sistema costituzionale francese una connotazione irragionevole ed antitetica, nel versante dei principi fondamentali, rendendo legittima la pura libertà (che è cosa diversa di una potere a determinate condizioni poste da una normativa ordinaria) di sopprimere una vita che si è formata in grembo e che attende di vedere la luce come essere, altro da sé, rispetto alla mamma e al padre.

Ma è soprattutto la sconfitta del diritto alla vita che subisce così una forte compressione, mentre si fortifica un divisivo e inaccettabile diritto a sopprimere un essere umano( tranne i casi in cui sia la mamma a rischiare la vita, a dover subire gravi turbamenti psichici o per altre motivate ragioni terapeutiche, economiche o sociali, con tutta una serie di supporti fino alla decisione, così grosso modo la maggior parte delle normative ordinarie, salvo una maggiore ampiezza di esercizio)la cui tutela a nascere si radica fortemente proprio su quel diritto alla vita che la stessa Costituzione francese solennemente riconosce.

Con l’effetto che in questo groviglio di contraddizioni e di opposte tutele è il diritto ad esistere che finisce per soccombere fino alla sua totale vanificazione.

E a nulla vale il fatto che il diritto alla vita sia di per sé diritto supremo ed universale di ogni essere umano( principio che dobbiamo proprio alla prima Costituzione universale dei diritti in Europa, scaturita dalla Rivoluzione francese del 1789).

Concetto che da tempo la scienza( e con essa la scienza giuridica)ha riconosciuto come meritevole di tutela normativa sin dal suo concepimento.

E non poteva essere diversamente essendo il diritto alla vita il fondamento naturale dell’esistenza del genere umano e del suo divenire( sia che lo si guardi in una prospettiva laica, sia sotto il profilo religioso)

E non c’è ordinamento che non riconosca nel diritto all’esistenza ed alla vita la sua natura pre-giuridica, ed in quanto tale, preesistente all’invenzione del diritto come strumento regolatore della convivenza e perseguimento degli obiettivi di conservazione, di sviluppo e di benessere di una società.

In questo quadro si costruirono le tutele costituzionali con cui si delineò la scala di valori del consorzio umano che ogni Stato assume di tutelare, nella sua funzione suprema, con i suoi ordinamenti.

L’impressione che se ne ricava da così inopinata scelta è che non sia altro che il segno di una nuova e inedita declinazione dei diritti, di cui la Francia se ne fa capofila, ma foriera di un quadro di antinomie nei principi, generate dalla confliggenza delle rispettive tutele, nel cui guazzabuglio l’esercizio dell’uno esige inevitabilmente la soppressione del suo opposto.

E cosa ancora più incomprensibile è il fatto che l’antinomia che si viene a creare introduce nel sistema dei diritti un aporia senza vie d’uscita.

Cosi da inficiarne la stretta coerenza del sistema dei principi oltre ad una inaccettabile distorsione dei principi di civiltà.

È la nuova frontiera dei diritti?

Ma davvero l’aborto merita un pari accostamento ai diritti fondamentali che ogni Costituzione liberale sancisce?

L’interrogativo ci conduce ineludibilmente a considerare quale valore giuridico abbia nel confronto con i diritti fondamentali la tutela della donna di voler abortire e, ancor prima, se l’aborto sia da considerare un vero e proprio diritto.

La breve analisi comparativa della questione rende non incongruo un confronto con il cammino tormentato della nostra giurisprudenza costituzionale: dì tutt’altro avviso, come possiamo leggere nelle mirabili argomentazioni di una sentenza degli anni ‘90, redatta dal prof. Giuliano Vassalli, in qualità di giudice costituzionale, ove si riconosce che:” Il diritto alla vita, inteso nella sua estensione più alta..è tra quei diritti che occupano, nell’Ordinamento, una posizione, per così dire, privilegiata in quanto appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana”.

L’argomentazione di questa pronuncia costituzionale, pietra miliare nel determinare gli ambiti della gerarchia dei valori di cui sono espressione i diritti, rende evidente come non sia immotivato rilevare la dismisura nella nuova gerarchia dei diritti attribuita a questa particolare fattispecie dalle istituzioni rappresentative francesi.

Peraltro la sentenza della nostra Corte costituzionale, riconoscendone il fondamento pre-giuridico, trova il suo caposaldo nella nostra realtà ordinamentale partendo dal riconoscimento che la nostra legge 194 sancisce che: “ Lo Stato tutela la vita umana dal suo inizio..”.

Ciò esclude che il rapporto tra la mamma ed il nascituro possa essere inquadrato in una sorta di assimilazione a disporre a proprio piacimento come fosse un diritto di proprietà.

Principio corroborato dalla successiva Legge 40 del 2004 che riconosce il concepito tra i soggetti di diritto.

Guardando altrove non va trascurata la Statuizione nel 2021, della Corte suprema degli Stati Uniti (Continente artefice della prima Carta costituzionale organica dei diritti nel 1787) che ha negato al diritto di aborto il carattere di diritto fondamentale.

Insomma la connotazione di diritto fondamentale e il suo inserimento nella Carta costituzionale, da parte delle istituzioni rappresentative francesi, non può essere letta che come una involuzione rispetto a quel manifesto dei principi universali che la rivoluzione del 1789 radicò nelle culture liberali dell’Occidente.

10 marzo 2024

Luigi Rapisarda