Luigi RapisardaC’è da mesi un continuo refrain che sta impegnando due esimi esponenti di quella che fu la
corrente di Donat Cattin: Giorgio Merlo e Ettore Bonalberti.
 Una corrente che fu di altissimo spessore intellettuale e politico: un autentico laboratorio delle idee
che impregnarono, negli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso, le politiche sociali e del lavoro di quella
che fu la stagione degli esecutivi di centro-sinistra durante la lunga era democristiana.
 Il loro teorema volto ad accentuare il mai sopito progetto di ricomposizione della diaspora
democristiana, si pone nell’ottica di un unico obiettivo, ossia. formare una nuova entità politica di
centro capace di bilanciare l’attuale polarizzazione del sistema politico attuale imperniato attorno
alle due coalizioni di destra e di sinistra egemonizzate sempre più da metodi e contenuti che
oscillano tra populismo e demagogie.
 In un ennesimo articolo di Giorgio Merlo, attuale coordinatore della formazione politica “Noi di
centro” di Clemente Mastella, su il Domani d’Italia del 3 giugno scorso, leggiamo:
“Il cantiere del Centro è ormai decollato e ognuno piazza la sua tenda. Come da copione..
 Certo, non sarà una Dc bonsai o una banale replica delle esperienze politiche del passato. Ma è
indubbio che questo nuovo soggetto politico – che sarà una sorta di federazione e culturalmente
plurale – non potrà non assomigliare, nel metodo e nel comportamento concreto, a quello che è
stata per decenni la Democrazia Cristiana..”
Abbiamo letto bene?
Si! Egli propone una federazione che assomigli alla Dc, ma in una composizione eterogenea di
matrici culturali che abbiano in comune la vocazione riformista
Quindi come dire una sorta di nuova “Margherita”,cosa che del resto lo stesso Merlo, più di una
volta ha evocato.
Come a dire, far stare nello stesso organismo politico federato, Grassi, Tarolli, Zamagni, Infante,
Renzi, Cesa, Bonino, Calenda, Mastella, Rotondi, Lupi, Toti, Brugnaro, spezzoni di Forza Italia e
tanti altri cespugli, effetto della transumanza parlamentare di questa legislatura.
Insomma esponenti di matrice liberale,socialista,cattolico-democratici e radicali.
Tutti insieme!
E ci chiediamo, come?
Ci vuole davvero una fantasia alla Pirandello perché si possa pensare ad un organismo
politico in cui si possano intersecare virtuosamente ambizioni personali e modelli culturali
di leader politici, diversamente orientati, sui grandi temi della vita, del lavoro, dell’ambiente,
dell’assetto costituzionale, soprattutto con riferimento, in particolare alla centralità del Parlamento
(cardine della nostra forma di governo,già messo a dura prova dal frequente ricorso alle
decretazioni d’urgenza, facile gioco,che, anche attraverso lo strumento dei maxi emendamenti,
aggira facilmente il confronto parlamentare, con il ricorso al voto di fiducia), al solidarismo, che
richiede un forte ribilanciamento delle nostre politiche sociali, alla politica estera, che oggi sconta
una poca autorevolezza nei quadranti internazionali:basti vedere la figura che abbiamo fatto con il
piano di pace presentato dal nostro ministro degli esteri, non concordato con le altre cancellerie, e
neanche sembra all’interno dello stesso esecutivo, dileggiato dall'establishment russo e respinto

fermamente dalla stesso governo ucraino.
E se è condivisibile quanto Merlo afferma, ossia il “continuare a richiamarsi a quel patrimonio
culturale, valoriale, politico e programmatico che ci fa oggettivamente ricordare il ruolo, la mission
e la funzione che storicamente ha avuto la Dc” è il successivo passaggio:” senza replicare quella
esperienza politica ed organizzativa..” che non può essere condiviso perché esprimerebbe un
partito senza anima, rivolto al nuovo senza avere la spinta vitale che solo la continuità può
imprimergli nel confronto con altri modelli culturali, con il rischio concreto che il facile
gioco delle alleanze può far sbiadire, se non addirittura trasfigurare, quel patrimonio
iniziale,irrimediabilmente.
Ovviamente non si tratta di scimmiottare i partiti del passato, ma se si vuole seriamente
“recuperare quell’immenso patrimonio e le ragioni politiche e culturali in grado di ridare serietà,
autorevolezza e qualità alla politica contemporanea” come Egli afferma, allora non si può
prescindere da una ripartenza identitaria del partito e del suo riproporsi coraggiosamente con i
propri progetti e le proprie proposte nella dialettica politico-istituzionale.
Ed anche la sua visione di un “nuovo e futuro Centro” che Egli dice “non è più la Dc ma
assomiglierà alla Dc.” non ci trova d’accordo.
Una prospettiva assai riduttiva quella del frequente ricorso a queste categorie spaziali, sempre più
in voga, che però oggi non sono più in grado di renderci tutta quella realtà dialettica che si agita
dentro i partiti.
Racchiudere a mio avviso le potenzialità di prospettiva entro questi argini, diviene oggi
un’operazione ermeneutica del fare politica non esauriente allorquando, come nel nostro caso, ci si
richiama ai valori dell’Umanesimo solidale e della pace come punti fondanti di una nuova realtà
aggregativa nelle comunità e nei rapporti tra i popoli.
Segno evidente che ci vuole un nuovo sestante che orienti con nuove coordinate il sistema
politico.
 Insomma, davvero possiamo cogliere a iosa le tante contraddizioni di questa proposta.
 Dove si incrociano antinomie talmente evidenti che vien da chiedersi se l’autore sia davvero
convinto di quello che dice o se non sia un buttare un classico sasso nello stagno per sondare
ancora una volta umori e percezioni.
 Delineare un nuovo soggetto politico nella forma di una federazione culturalmente plurale significa
assicurargli vita breve e pregiudicare ogni possibile riproposizione di quella valorosa esperienza
democristiana.
 Questo modo di argomentare annaspa in un mare di aporie senza soluzione, non avendo trovato
fino ad oggi, se non una effimera e caduca rappresentazione, in tutte le provate sperimentazioni,
anche in altre aree politiche.
 A Merlo fa eco Ettore Bonalberti, vice segretario della DC, con un articolo del 4 giugno su Il
domani d’Italia:
“ Ha ragione Merlo, alla fine, sono molto poche le residue “casematte” della diaspora democratico
cristiana. A parte quella, come l’Udc, impegnata nella difesa della rendita di posizione di un
simbolo, lo scudo crociato, sin qui utilizzato solo per la sopravvivenza politica a destra dei soliti
noti, io credo che tutte le altre esperienze, come quella di Insieme di Infante-Tarolli, della Dc di

Grassi e Cuffaro, del Centro di Mastella e dello stesso Merlo, e con esse, anche l’esperienza
avviata da Rotondi dei Verdi Popolari, possono e debbono compiere il salto di qualità per la
ricomposizione politica dell’area. Se per motivi diversi non cogliessero tale necessità, mi auguro
che il processo avviato dalla base (bottom up) per la convocazione di un’assemblea costituente
per detta ricomposizione, potrebbe favorire il progetto.”.
Il ragionamento che ripete, ancora una volta, i contorni di un progetto che già in prima
applicazione, come “federazione dei democristiani e popolari” coordinata da G.Gargani, ha fatto
registrare una totale défaillance, si dipana insistentemente su una linea che riflette una visione
categoriale tardo-antica di schemi identitari di classi sociali, oggi non più applicabili.
 Qui, ancora una volta, ribadiamo che il problema non è la ricomposizione di una forza di centro.
 Ma la riproposizione di una entità politica, la DC, il cui cuore non ha mai smesso di pulsare, che,
riprendendo quei valori e quella prassi che Merlo ben descrive, consentirono un processo di
sviluppo che coinvolse tutti i ceti sociali.
 Quello sviluppo inizialmente armonico, governato successivamente da esecutivi, dai delicati
compromessi programmatici, finì per dare la stura ad assestamenti territoriali e stratificazioni
sociali assai diseguali con forti divari nella qualità della vita, da nord a sud.
Un quadro economico e sociale oggi totalmente destrutturato perchè messo ulteriormente in
ginocchio da una lunga crisi del decennio passato, da due anni di covid e, ora, dai riflessi assai
impattanti di una guerra che abbiamo alle porte dell’Europa,che richiede, come ultima spiaggia,
risposte plausibili,efficaci e tempestive, se non si vuole dare il colpo di grazia al sistema produttivo
del nostro paese, fortemente dipendente dal gas e petrolio estero, oltre che da gran parte di beni
semilavorati e di componentistica.
 Insomma non di una caratterizzazione di schemi spaziali abbiamo bisogno, ma di un calarsi in
modo aggiornato e aderente a questa realtà sociale ed economica.
E ben ammoniva Luigi Sturzo, in uno dei suoi lavori di ricerca sociologica, a non intraprendere
iniziative politiche o proporre soluzioni senza aver prima analizzato a fondo la società su cui
dobbiamo operare.
Oggi le tante risposte che appaiono plausibili nel modellare politiche pubbliche volte a riequilibrare
meccanismi di ridistribuzione della ricchezza per mitigare gli enormi divari tra i ceti sociali, in un
quadro di piu diffusa partecipazione al benessere comune, soverchiano e bypassano etichette
d’altri tempi.
Come possiamo progettare imprese che appaiono titaniche nel fronteggiare il crescente
dissesto climatico; l’urgente transizione tecnologica; la rivoluzione copernicana che si richiede in
tema di lavoro, con l’avvento del digitale e del lavoro a distanza; l'emorragia di giovani talenti che
sono costretti a trovare riconoscimento e opportunità all’estero; l’impoverimento di interi ceti sociali,
scivolati nella soglia della povertà di sistema, perché a quarant’anni già fuori dal circuito del lavoro,
per la rapida obsolescenza delle competenze, o perché la rimessa in piedi del sistema produttivo
richiede decisioni impopolari e profonde per riequilibrare i profondi divari socio-economici che si
sono consolidati in questi ultimi anni, se non si procede a trasformazioni epocali del nostro
modello economico e sociale?
 C’è insomma da non nascondersi dietro infingimenti nominalistici e spaziali ma di avere un partito

che acquisti forza e affidabilità nella coesione delle varie realtà di area attorno ad una identità che
non può assumere altre sembianze, perché sarebbe in contraddizione con se stesso, mentre ci si
appresta a rinverdire le radici di quel florilegio di valori che caratterizzarono l’esperienza della Dc in
una rinnovata visione di paese e di relazione tra i popoli che assicuri la espunzione delle economie
predatorie e, al contempo, governi volti al bene comune in una virtuosa compatibilità tra funzione
sociale ed economia di mercato.
 Una sfida che è ancora più impegnativa per il nostro sistema infrastrutturale pubblico, così come
lo è per la produzione industriale, artigianale e della commercializzazione, e per i settori
professionali, tanto che non appare ultroneo pensare ad una nuova stagione di politiche
Keynesiane, molto incisive.
 Solo un rinnovato modello macroeconomico, ancorato sulle grandi intuizioni dell’economista di
Cambridge, ossia un robusto new deal economico, potrà aiutarci a superare l’enorme crisi
strutturale di sistema.
Operazione che difficilmente potrebbe incastonarsi in una mera connotazione centrista.
Categorie che in particolare dagli anni ‘70 del secolo scorso furono oggetto da parte di Norberto
Bobbio, Augusto Del Noce e George Grunberg, di un intenso confronto dialettico.
Entrambi concordi nel riconoscere – nella peculiarità italiana di una destra che aveva raccolto
sostanzialmente l’eredità ideale del fascismo e di una sinistra che tardava a svincolarsi dai legami
dottrinali con Mosca – che il valore del centro, nel sistema politico italiano del dopoguerra, era
destinata a perdere quella precipua connotazione di presidio delle libertà e dei valori universalistici
assunto dalla Democrazia Cristiana, una volta che destra e sinistra avessero accettato in pieno,
l’economia di mercato, abbandonato ogni specifico richiamo di classe e la convinta adesione al
sistema di democrazia rappresentativa, con l’effetto di spostare il focus volta per volta,
principalmente, sulle aspettative di questo o di quel ceto sociale.
Previsioni che in questi anni hanno trovato il loro terreno di verifica e di smentita nel modo
altalenante con cui forze di destra e di sinistra hanno cercato di rendersi interpreti, sia pure
nell’ambito di grosse contraddizioni, senza però concorrere a risolvere minimamente le cause dello
scivolamento di ceti sociali privilegiati verso sacche sempre più ampie di povertà, mentre la classe
operaia è stata lasciata alla sola cura delle forze sindacali.
Non ci voleva molto allora, in una cornice così disomogenea nella quale alla dismissione delle
originarie identità ideologiche si facevano spazio venature populiste e radicalismi anti sistema, che
quelle tante misure, spesso sull’onda di campagne emozionali, non facessero che acuire le
difficoltà diffuse.
E non poco ha contribuito il modo scoordinato, e spesso destrutturante di precedenti
provvedimenti, con cui si è operato,senza una visione lungimirante, organicamente orientata ad
una più equa distribuzione delle risorse primarie.
 In questo quadro non appare velleitario, in sintonia con il magistero papale, affermare che il paese
ed il mondo hanno bisogno di un nuovo Umanesimo solidale,( qualcuno si spinge addirittura fino
ad una declinazione integrale)con tutte le implicazioni che questo comporta, in termini di politiche
popolari e capaci di spingere il sistema produttivo verso una più bilanciata perequazione dei salari,
con la previsione di misure fiscali che mitighino il drenaggio, spostando il maggior peso delle

imposte sulle grandi concentrazioni di capitali, che spesso trovano schermo dietro paradisi fiscali,
e sulle rendite finanziarie delle grandi holding, incentivando le reti di produzione su scala interna.
Al contempo va perseguito l’obiettivo di controbilanciare fortemente la competitività del prodotto
interno, anche con forti politiche di sostegno dell’occupazione, rispetto alle insidie della
globalizzazione, che tanto ci ha ammaliato in questi anni, al punto di consegnarci, mani e piedi,
alla colonizzazione energetica e commerciale, quasi per intero.
 Che senso ha allora continuare ad insistere su una prospettiva di ricomposizione, che sa
davvero di mera operazione di vertice, senza popolo, che simili processi fanno venire in
mente, senza uno sperimentato radicamento nel territorio, sebbene entro un quadro di
valori, di ideali e di metodi che furono il motore della della DC, appare essere operazione
assai avventurosa.
Disponiamoci invece a sostenere e valorizzare tutti gli sforzi che valorosi dirigenti stanno
facendo per il ritorno in campo del partito, anche sulla scorta di primi segnali assai
incoraggianti, nelle elezioni amministrative di ottobre scorso in Sicilia e altrove e speriamo
possano avere riscontro anche nei Comuni impegnati nella consultazione di questa
domenica.
Quel primo impatto con i territori ci ha fatto ritrovare quella parte di elettorato che da
tempo disertava le urne.
Insomma mi auguro che le rispettose cogitazioni di questi amici non indulgano ancora in questa
sorta di autolesionismo di cui non abbiamo bisogno se davvero si ha in animo di accreditare una
posizione identitaria rinnovata del partito.
 Quello che invece conta è l’aderenza ad una realtà totalmente modificata, nelle istanze, nei
bisogni e nei progetti di futuro che oggi attanaglia e condiziona le aspettative personali fino a
comprimere molte delle potenzialità innovative e di intrapresa di cui sono capaci i nostri giovani,
quando vanno all’estero.
 Insomma sarebbe irresponsabile continuare a rispondere a questo caleidoscopio di problematiche
si con metodi e modalità sempre più incentrati a soluzioni parziali, privi di progetti lungimiranti e
senza una visione di paese volta ad una proiezione ultra-generazionale.
 Una incapacità strutturale che, in una deriva inarrestabile, ha fatto scivolare,in il nostro sistema
politico, in una inconcludenza permanente.
In questo quadro persino questo governo, che sulla carta sembrava essere la “migliore” soluzione
per risolvere gli annosi problemi strutturali del nostro paese, appare innaturale, ingabbiato come è
tra spinte e controspinte da parte di forze politiche mosse sempre più apertamente da disegni
opposti.
  Mentre ci attanaglia l’amara constatazione che anche l’ultimo treno sta per ripartire senza essere
in grado di portare grandi risultati alle nostre Istituzioni europee.
Così rischiando di pregiudicare l'affidamento e la fiducia che ci avevano riconosciuto in seno al
Recovery fund, con un plafond di prima grandezza, dietro l’impegno di riscrivere, senza furbizie,
quelle essenziali regole in grado di diradare i tanti intralci burocratici e operare incisivamente
semplificazioni di procedure – nel rispetto delle garanzie di tutela dei diritti fondamentali – oltre ad
una poderosa manutenzione delle nostre infrastrutture.

 Così non possiamo non chiederci se davvero sia possibile dare risposte minimamente
efficaci all’intero arco di istanze sociali e del mondo produttivo, che recessione e stag-
inflazione stanno incardinando, senza quel patrimonio di valori e di idee e quella
lungimiranza progettuale, che fu della Democrazia Cristiana.
 E mentre aumenta, da parte di tanti commentatori politici, lo scetticismo sul pieno rispetto e
puntuale adempimento degli impegni e sulla buona riuscita delle riforme strutturali ed
ordinamentali nei diversi comparti dei pubblici servizi, assunti con il Pnrr, il paese va alla deriva tra
incapienze economico- finanziarie, povertà crescente, sfaldamento della famiglia, sfilacciamento
della coesione sociale e un nichilismo, sempre più preoccupante tra i giovani, senza futuro, cui
non poco hanno concorso misure sociali di demotivazione al lavoro, con la messa in campo di
politiche di mero assistenzialismo parassita e improduttivo, oltre alle tante derive propagandistiche
– da ultimo i pacifisti della domenica – per ammaliare fette di elettorato sempre più insoddisfatto e
disorientato.
  Fa perciò un certo effetto leggere pertanto da un alto esponente del partito, vice segretario
nazionale, affermazioni così stupefacenti:
 “In previsione delle prossime elezioni nazionali, credo, invece, che il nostro dovere prioritario sia
proprio quello di impegnarci, ognuno per la sua parte e nell’ambito politico organizzativo in cui si
ritrova, per favorire quel soggetto politico nuovo che se non sarà la Dc, dovrà essere “qualcosa
che ne costituisca la ripresa in termini di valori e di contenuti”.
 Se è proprio vero che talvolta i paralleli nella Storia hanno qualche attinenza, non ci sembra di
esagerare se diciamo che con queste tesi, a differenza di Nerone, questi esimi esponenti di partito,
si dispongono ad “incendiare” la propria cittadella politica senza aver nemmeno chiari i contorni di
quella nuova che potrà prendere il suo posto.
10.06.2022
Luigi Rapisarda

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