Luigi RapisardaSul Corriere della Sera del 19 giugno scorso vi è una intervista all’on.le Carelli, attualmente nelle file di Coraggio Italia, già ex Cinque Stelle.
Egli è un signore, dal pensiero mite, che si è infilato nell’avventuroso mondo dei 5 stelle per trasformarsi da “uomo in panciotto” in “ardito barricadiero”, per la guerra senza sconti alla casta ed ai suoi privilegi.
Non deve essere stata facile la convivenza in questa variopinta comunità di giacobini ed hebertisti della prima ora.
E difatti non c’è voluto molto tempo perché ne emergessero tutte le incompatibilità con uno stile personale di tutt’altra fattura.
Certe esperienze però segnano, portando con sé tutta la dimensione dei nostri tormenti, del nostro voler essere protagonisti non passivi, ma costruttori del nostro futuro.
In questi casi, solo l’indulgente comprensione di chi ha dimestichezza di vita politica può cogliere i segni tangibili di scelte sbagliate, con intenzioni non opportunistiche.
Tuttavia sono modi erranti del pensiero che portano a scelte che se si interpongono,incomprensibilmente, in un percorso di coerenza personale, finiscono per non fare apparire, oggettivamente, rassicurante, oltreché stupefacente l’idea di certe disinvolte ricerche della scorciatoia, a qualsiasi costo, pur nella ingenua consapevolezza di non pregiudicare la propria identità culturale, magari costruita attorno a valori che contraddistinguono visioni politiche e di paese sussumibili in una collocazione centrista, neo-democristiana, di cui Carelli se ne incarica,inopinatamente, di farsi portavoce.
E invece queste giravolte, o se si vuole,queste torsioni lasciano tracce che non si rimuovono facilmente e gettano una luce sinistra sulla affidabilità politica di chi se ne è reso protagonista.
Ancor più incomprensibile, che Egli indichi un altro dei campioni del trasformismo come possibile federatore della DC.
In tal senso è sembrato acconciarsi nel rispondere alla domanda:
” State candidando Di Maio a leader di una nuova DC ?
Risposta : E perché no? Parliamone” .
Una intervista surreale che rivela, ancora una volta, che il Corriere ha perso il fiuto del giornale di un tempo.
Se va appresso a bizzarrie di questo genere, accreditandole come degne di interesse e sviluppi positivi per l’Italia, vuol dire che è proprio alla frutta.
E qualcuno si chiede nel partito:è il caso di parlarne?
Direi di sì!
Non solo per farsi quattro risate.
Ancor più per smascherare gli obiettivi di certa stampa che magari non disdegna di mettere ancora una volta in cattiva luce la riedizione della DC, ignorando l’avviato sforzo organizzativo e il ritorno in campo con lusinghieri risultati.
Stupisce che un giornale di tal rango dia spazio a fantasticherie così campate in aria.
Immaginare una DC,che vuole recuperare gli assi portanti del pensiero di don Luigi Sturzo, De Gasperi e Moro, alla febbrile ricerca di una classe dirigente, fatta di transfughi e populisti pentiti, così poco adatta a governare processi decisionali, non solo complessi, e grandemente inclini al trasformismo, rende l’idea di un giornale che ha perso l’aderenza con le profondità dei processi socio-politici in corso, con danno immane per la credibilità di quella parte di paese che si sta organizzando dando voce, in modo innovativo, a realtà politiche già sperimentate, come appunto la DC, che si è rimessa in campo con straordinari risultati, in questa recente tornata, a Palermo ed in altri Comuni della Sicilia.
I cambi di linea, l’improntitudine al facile ribaltamento di regole e impegni, oltre ad un qualunquismo identitario, con l’unico obiettivo di non mollare il potere, inteso non solo come posto di comando, ma come godimento di privilegi che si volevano ferocemente cancellare( emblematica tutta la questione sulla interruzione anticipata della legislatura con perdita del diritto al vitalizio questione, che però non è stata una peculiarità dei soli 5stelle)tanto da non avere remore di sorta nell’imbarcarsi in governi di segno opposto, con forze politiche che bollavano come incompatibili,ci stanno ora consegnando un numero sempre crescente di ex 5 stelle, che raminghi, vagano in cerca di nuove identità.
Non ci vuol tanto per cogliere tutti i segni malsani di un sistema politico decadente e senza vie d’uscita.
Tra le tante ci basti cogliere le imprese più eclatanti di chi ne è stato l’artefice principale, essendone il leader designato, ossia, Luigi Di Maio e lo facciamo con le parole di G. Merlo da Il domani d’Italia del 19 giugno scorso:
“..adesso è diventato quasi come noi. Cioè un convinto e quasi feroce sostenitore del Centro e del centrismo. E, di conseguenza, respinge in modo secco “il partito dell’odio”, gli insulti agli avversari, la trivialità del linguaggio, “il disallineamento” rispetto alle alleanze tradizionali dell’Italia sul piano geopolitico; crede nella stabilità del governo; esalta Draghi; valorizza il ruolo dei partiti e delle culture politiche e mi fermo qui per motivi di spazio… Resta solo un piccolo, piccolissimo particolare. Tutte le cose che ha detto per quasi 20 anni su questi temi – ovviamente e scientificamente erano l’esatto opposto di ciò che sostiene in queste ultime settimane – cosa ne facciamo? Li resettiamo dalla rete? Li cancelliamo come battute fuor di luogo? O, molto più semplicemente, diciamo che solo i cretini non cambiano mai idea? Ecco, nel rispetto di tutte le opinioni, siamo solo indecisi su come dobbiamo giudicare quel passato che è durato sino a poche settimane fa.”
Come possiamo poi non citare la brutta performance di questo campione del voltafaccia, impudente, con il dileggio subito dall’Italia per il “piano di pace” in Ucraina, elaborato proprio dal nostro Ministro degli Esteri, bollato non solo da parte dell’establishment russo come documento di emeriti dilettanti, ma respinto al mittente anche dalla stessa dirigenza Ucraina.
Insomma pensare che per ripresentarci al paese abbiamo bisogno di transfughi e Masanielli pentiti, è davvero un’idea da “paese delle banane”.
Non ci dimentichiamo altri eclatanti camei del nostro “autorevole” esponente dei 5 stelle: tra essi spiccano, per avvedutezza politica, l’iniziativa, con ragioni del tutto strampalate, dell’impeachment di Mattarella e il sostegno dato personalmente, con tanto di visita di cortesia, ai gilet gialli, emblema dell’antisistema in Francia, mentre ora si fa paladino del Draghismo più ortodosso.
Insomma l’ennesima contorsione per come farsi beffa di quella regola del doppio mandato con cui Di Maio e il suo movimento hanno carpito il voto di tanta gente.
Così c’è da restare senza parole davanti alla spregiudicatezza, senza freni, di questa schiera di rappresentanti, che dopo aver conosciuto delizie e privilegi della casta, che volevano annientare, non vogliono più schiodare da quella “scatoletta di tonno” che a furor di popolo volevano aprire.
Così dicevano..!
Che ora si accapiglino tra mille espedienti per vanificare quella regola, che è stata uno dei cavalli di battaglia per attaccare il sistema politico, istituzionale e la democrazia rappresentativa, con lo slogan “uno vale uno”, ci rende ampiamente l’idea di quanto fossero artificiose ed ingannevoli le loro promesse.
E tutti i nodi sono venuti al pettine.
Mentre c’è ormai la certezza, ampiamente preconizzata dalla totale défaillance alle recenti amministrative, che si stia chiudendo l’epoca del funambolismo politico per tanti di questi improvvisati “rivoluzionari”, resteranno ancora chissà per quanto tempo i cascami di un’era tanto plumbea per il paese, per l’irradiarsi di un sistema che elevando a modello l’incoerenza, l’insincerità e l’improvvisazione, si è posto davanti agli elettori, come in un gioco di specchi.
Per fortuna tanti italiani, in questa tornata amministrativa nella quale il movimento 5 stelle sembra quasi scomparso dai territori della nostra penisola, non si sono fatti prendere per i fondelli.
Se ci consola il fatto di pronostici che danno per certo il ritorno in parlamento di una sparuta minoranza di questi improvvisati giacobini, con la sempre più concreta prospettiva, per molti di loro, di tornare definitivamente a casa e forse doversi inventare un lavoro; non sarà facile fronteggiare l’eredità amara di un parlamento mutilato, e per questo non più inadeguato a rappresentare nella giusta proporzione e misura i territori, con tutto lo squilibrio del sistema che esso comporta per il nostro assetto costituzionale.
A questo punto non sembra ultroneo che Draghi, preso atto della corale sfiducia a Di Maio da parte del Consiglio Nazionale, per il totale disallineamento dalle posizioni del movimento 5 stelle sull’invio di armi all’Ucraina, non essendo più di fatto espressione di alcuna forza politica, ma solo di se stesso, provveda a sostituirlo con un nuovo Ministro degli Esteri.
20.06.2022
Luigi Rapisarda

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