L’ufficiale giudiziario nell’opinione comune si identifica con quell’individuo che, su richiesta di una persona alla quale la Giustizia ha dato ragione, senza alcuna pietà si reca presso le abitazioni delle persone che non possono pagare i loro debiti o che debbono essere sfrattati per morosità o altro motivo e, senza sentire ragione alcuna, pignorano quello che trovano all’interno dell’abitazione o sfrattano le famiglie, incurante di ogni loro ragione.
In effetti, l’ufficiale giudiziario non è quello che nell’immaginario comune si è raffigurato. Certamente non lo era Antonio Bertolino, campano di nascita ma, rimasto contagiato di “sicilianità” e, mi si perdoni il termine, di “acesità”. Antonio Bertolino, giunto presso la Pretura di Acireale nella seconda metà degli anni ‘70 (non ricordo precisamente l’anno), subentrò all’ufficiale giudiziario allora dirigente, che mi pare non avesse legato particolarmente con il foro e l’ambiente acese e che, quantomeno ai miei occhi, aveva un carattere piuttosto scostante. Rimase, infatti, presso il nostro ufficio pochissimo tempo. Carattere scostante che non aveva assolutamente Antonio Bertolino. Egli diviene quasi subito, quindi, dirigente dell’ufficio esecuzioni e notifiche della Pretura di Acireale. Con il suo modo di fare, apparentemente burbero, e con il simpatico dialetto campano che lo contraddistingueva lega subito con l’ambiente acese e dà un’impronta ben precisa all’ufficio che dirigeva, evidenziando le sue qualità, in particolare: la preparazione, la competenza, la serietà, l’impegno al lavoro e il giusto equilibrio per contemperare le opposte esigenze delle parti in causa (parte esecutante e parte esecutata).
Con la massima cortesia accedendo nei luoghi dell’esecuzione, cercava di far capire che non era opportuno resistere in modo eccessivo e smisurato al procedimento intrapreso ma, piuttosto, richiedere il tempo necessario per pervenire ad una definizione “indolore” del medesimo procedimento e le parti, in effetti, seguivano il suo consiglio.
Rispettava al massimo gli orari di ufficio, ma quando non era presso i locali della Pretura lo si vedeva girare continuamente in tutto il mandamento con la sua riconoscibile Fiat 500 blu, al fine di adempiere a tutti gli impegni collegati alla sua delicatissima funzione al fine di rispettare ogni scadenza ed evitare così qualsiasi incomprensione con i vari avvocati e responsabilità degli stessi. Professionisti, questi ultimi, che immediatamente e naturalmente instauravano, dopo i primi contatti, rapporti di amicizia che andavano anche al di là dell’ambito giudiziario.
Solo in certi momenti sembrava burbero e nervoso, ma, in effetti, il tutto era collegato ad una eccessiva mole di lavoro, che poi si è attenuata quando è arrivata nell’ufficio una valida collaboratrice (dott.ssa Nella Blanco).
Sono sicuro che egli si sia legato molto alla nostra città e non soltanto per avere sposato la gentile Enza, nostra concittadina, ma soprattutto per l’affinità caratteriale che ritengo leghi facilmente il campano con il siciliano.
Ho avuto l’impressione che, nel momento in cui sono state abolite le sezioni distaccate del Tribunale di Catania e, quindi, anche la sezione distaccata di Acireale, con il correlativo suo trasferimento da Acireale a Catania, egli si sia intristito. Perdeva, infatti, il contatto diretto con il territorio ed il foro acese. Ogni volta che andavo a Catania e lo cercavo solo per salutarlo non notavo più quella verve siculo-campana che lo contraddistingueva.
Ho definito Antonio Bertolino, in occasione dei quarant’anni di anniversario dell’Associazione Forense Acese, “un burbero benefico” e cioè un burbero di buon cuore; in effetti, egli era tale nel rispetto della procedura e dei diritti delle parti in causa. Oggi alla definizione data di “burbero benefico” aggiungerei anzi aggiungo: “burbero benefico gentiluomo”.
Ciao, Antonio. Con rimpianto l’Associazione Forense Acese Ti ricorda e si associa al grande dolore di Enza e di tutti i familiari.

Franco Barbagallo

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